Basilea II

L’accordo di Basilea 2 rappresenta un importante salto di qualità nel rapporto banca impresa, poiché una più dettagliata valutazione del rischio di credito della clientela offre alle PMI grandi opportunità in termini di efficienza e produttività. D’altro canto, però, il vantaggio che deriva dall’utilizzo di un sistema di rating richiede un’analisi dei fabbisogni e una programmazione delle risorse alle quali si fa poco ricorso nel sistema aziendale di piccola dimensione. Con Basilea 2, quindi, le imprese minori (società di persone e imprese individuali) potrebbero incontrare difficoltà ad essere valutate, mancando molti degli elementi conoscitivi per valutarne correttamente l’affidabilità.

 

Servizi innovativi per la finanza. Il trattato di Basilea

Tre aspetti che modificano il rapporto tra sistema delle imprese e intermediari finanziari

Il trattato di Basilea, nella sua nuova formulazione, introdurrà a partire dal prossimo 2007 importantissime modifiche nel rapporto tra sistema delle imprese ed intermediari creditizi.

In particolare, essendo le banche “costrette” ad effettuare una attenta valutazione del rischio (sia operativo che di mercato) dell’imprenditore, dovranno avvalersi sia di strumenti interni per una corretta ponderazione dell’affidabilità del debitore, sia fare un ricorso – sempre maggiore – all’intermediazione di quei soggetti in grado di mitigare tale rischio attraverso il ricorso ad opportune forme di garanzia.

Le cooperative ed i consorzi di garanzia fidi, pertanto, saranno chiamati a ricoprire questo nuovo ruolo, non tanto potenziando la propria offerta, quanto soprattutto dotandosi di quelle caratteristiche di solidità e di forte rappresentatività dell‘impresa, tali da abbattere il rischio corso da soggetto creditizio nella propria attività di erogatore del finanziamento.

Infatti, proprio per il fatto che la garanzia dei confidi non viene direttamente riconosciuta quale elemento per l’abbattimento del rischio, è necessario che questi organismi si potenzino, si rafforzino e si dotino degli strumenti più opportuni (capitale, patrimonio, fondo di garanzia, numero di soci, convenzioni con le banche ecc.), facendo si che acquisiscano una solidità tale da “assorbire” e condividere l’onere sopportato dalla banca nella procedura di finanziamento all’impresa.

Per fare questo occorre che le strutture territoriali che operano nel mercato della garanzia siano dotate di capacità patrimoniale, finanziaria, organizzativa e gestionale, dotandosi in un certo senso di quel potere contrattuale necessario a contribuire da un lato all’abbattimento degli oneri finanziari per l’impresa, dall’altro a garantire – in caso di default della stessa – la banca creditrice.

Gli organismi di garanzia in Italia sono moltissimi: oltre 1.000 strutture in Italia, due terzi dei quali emanazione di categorie associative, spesso non in grado di raggiungere valori di autonomia finanziaria e patrimoniale significativi.

Ecco perché – da sempre – queste strutture sono fortemente partecipati dagli enti locali (Regioni e province, in primo luogo) e dal sistema camerale che contribuisce (solo quest’ultimo) con oltre 35 milioni di euro di contributi all’anno.

A livello nazionale, nel 2000, in un gruppo di 8 confidi si concentrava il 58% degli affidamenti garantiti, il 42% dei fondi di garanzia e il 39% delle imprese associate; nel 2003 la concentrazione, sempre riferita a un gruppo di 8 confidi, è salita al 63% degli affidamenti, al 50% dei fondi di garanzia, al 45% delle imprese.

A questo dualismo si aggiunge quello relativo alle organizzazioni del Nord, maggiormente propense a processi di riorganizzazione e fusione, rispetto a quelle del Centro – Sud, dove invece il numero degli organismi di garanzia o aumenta (seppur di poche unità) o comunque non regredisce come invece dovrebbe accadere a causa degli interventi di razionalizzazione e potenziamento del settore.

Tale fenomeno, va letto congiuntamente al crescente divario che esiste all’interno del rapporto tra sistema bancario ed imprese del Centro Nord rispetto a quello del Mezzogiorno, dove le difficoltà sono senza dubbio più pesanti e dove il contesto sociale ne acuisce le difficoltà.

Oltre alla revisione degli accordi di Basilea occorre sottolineare un altro grande elemento di accelerazione che porterà, di qui a breve, ad un processo di forte razionalizzazione dei sistemi di garanzia: il riferimento va alla legge di riordino di tali organismi – la 326 del 2003 – che ha di fatto introdotto limiti dimensionali minimi, nuovi ruoli di intermediari finanziari che i confidi maggiormente strutturati (ai sensi dell’art. 108 del testo unico in materia bancaria) verranno ad assumere – in un futuro meno prossimo – fino a divenire vere e proprie banche cooperative.

I due elementi – Basilea e la legge quadro di riordino – comporteranno, entro un tempo ragionevolmente breve, una forte riorganizzazione dei sistemi di garanzia che, specie nel Mezzogiorno, non sarà esente da difficoltà e complicazioni: basti pensare alla verifica del dimensionamento minimo da raggiungere per rappresentare – nei confronti dell’interlocutore bancario e per il sistema d’impresa rappresentato – un elemento di garanzia sufficiente rispetto agli obiettivi sopra richiamati.

Il secondo aspetto riguarda il grado di informazione e di adeguamento delle imprese rispetto ai temi richiamati in premessa. Spesso ci si dimentica di trasferire tutti i ragionamenti sui processi organizzativi e normativi in essere nei confronti dell’interlocutore “impresa”, spesso chiamata in causa solo “dopo”.

Le recenti simulazioni messe in campo da Unioncamere sugli effetti di Basilea – sia sulle imprese minori, che sulle aziende maggiormente strutturate – hanno chiaramente messo in evidenza che va ancora colmato il forte divario di informazione e soprattutto di comprensione circa l’adeguamento delle aziende alle nuove metodologie in uso a riforma avvenuta, riaffermando i principi di trasparenza e di comunicazione (da entrambe le parti) che saranno necessari introdurre, o potenziare, con la messa a regime dei modelli di valutazione che Basilea comunque imporrà (siano essi di natura standardizzata che di maggiore complessità).

Ecco perché sarà necessario, in un contesto caratterizzato da dimensioni aziendali più ridotte, da rapporti tra banche ed imprese spesso non caratterizzati dall’introduzione di metodologie di tipo “scientifico” (ma basati su rapporti di tipo anche personale), introdurre tutte le informazioni ed adottare le opportune procedure per favorire gradualmente l’introduzione di questo nuovo tipo di rapporto con il contesto bancario e creditizio.

Questo obiettivo può essere raggiunto sia introducendo modelli territoriali di simulazione del fenomeno Basilea – distinguendo fra imprese di capitali strutturate ed aziende minori con forme societarie differenti, sia per il tramite di momenti divulgativi per spiegare le opportunità e di rischi, ma soprattutto le tecniche di valutazione maggiormente in uso, colmando il divario informativo (ed anche culturale) che spesso ha caratterizzato temi come questo.

Il terzo aspetto riguarda una serie di tematiche trasversali rispetto ai due temi sopra richiamati: alla luce di Basilea, alla luce delle nuove metodologie di valutazione del rischio, ma soprattutto considerando la riforma del sistema degli incentivi – per cui l’impresa, oggi, è sempre meno beneficiaria di interventi finanziari agevolati, ed ha bisogno invece di acquisire sempre più gli elementi necessari per programmare i propri bisogni finanziari su un intervallo temporale a medio termine – occorre che le Camere aiutino ad incentivare la diffusione e l’utilizzo di prodotti finanziari ad hoc, intervenendo, come già molte realtà fanno, per ridurre ulteriormente gli oneri per l’impresa, ma soprattutto per aumentare l’efficacia degli strumenti proposti e diffusi dagli intermediari creditizi e finanziari, dai sistemi di garanzia fidi o degli altri strumenti agevolativi previsti da interventi o normative territoriali.

L’obiettivo è quello, cioè, di concentrare le risorse aumentando l’efficacia di strumenti già attivati da altri interlocutori locali o da altri soggetti che operano sul territorio, evitando così la dispersione di risorse, mettendo in pista iniziative che spesso non riescono ad incidere sull’impresa stessa.

L’esempio classico è quello dell’ulteriore intervento da parte della Camera per l’abbattimento dei tassi praticato dai confidi, o all’aggiunta di incentivi specifici per settori di attività particolarmente tipici di quell’area economica (distretti o filiere, per esempio), o alla promozione e realizzazione di iniziative con il sistema bancario locale per l’emissione di strumenti finanziari a carattere fortemente innovativo per la media e piccola impresa: il caso più recente e significativo è quello del “bond di distretto”, che riesce a contemperare le richieste degli investitori che chiedono adeguata remunerazione del capitale e dell’impresa che vede erogati idonei finanziamenti a fronte della proporzionale condivisione del rischio.

Nel 2006 è stata realizzata una  seconda edizione della ricerca sull’affidabilità delle imprese minori con l’intento di approfondire, affinandone gli strumenti e la metodologia, l’analisi avviata da

Unioncamere già nel 2003 (sulle imprese di capitale) e poi nel 2005 (sulle imprese minori) ponendo, al tempo stesso, le basi per un modello di affidabilità economicofinanziaria; ciò non solo sulla base dei criteri innescati da Basilea 2, ma anche alla luce dei principali fenomeni economici e sociali che stanno interessando il rapporto tra banca ed impresa nel nostro Paese.

Mentre l’obiettivo principale della passata edizione era quello di valutare il grado di rischiosità delle imprese minori (attraverso un modello di posizionamento statistico per le micro-imprese), l’edizione 2006 permette di operare quel salto di qualità in grado di offrire un vero e proprio modello di rating per tutti i 5 milioni di aziende diverse dalle imprese di capitale e che non essendo “capitalizzate” e, soprattutto, non depositando un bilancio, sfuggono – generalmente – ad attente valutazioni ed a specifiche analisi.

L’esame sulla rischiosità di queste imprese è stata effettuata attraverso l’analisi del rischio osservato (imprese a default e non a default) e l’analisi della rischiosità attesa (probabilità di default) per classi di rischio omogenee, ricorrendo al patrimonio informativo della rilevazione e all’applicazione dei modelli standard di CRIF Decision Solutions specifici per le imprese del segmento Small Business.

Il campione è costituito da 16.943 impresesuddivise in 11.941 ditte individuali e 5.002 società di persone. Come si è anticipato nella premessa, le aziende sono state raggruppate in 4 macro-settori di riferimento, in base all’attività svolta al momento della rilevazione: commercio (7.136 imprese), servizi (4.060), manifatturiero (3.691), costruzioni (2.056).