Licenziamento per giusta causa, l’applicabilità ai tempi del coronavirus

L’epidemia di coronavirus ha messo in ginocchio numerose aziende. La realtà economica al momento non è delle più piacevoli. Le numerose chiusure imposte dal Governo per contrastare il diffondersi dell’epidemia hanno significato, per molte attività, la fine. Sono stati così sacrificati e messi a rischio numerosi posti di lavoro. Per arginare questo fenomeno il decreto legge Cura Italia ha introdotto dei temporanei divieti di licenziamento, vediamo di fare il punto.

Licenziamento, in quali casi è legittimo

Prima di addentrarci nel discorso normativo, diamo una rapida definizione di licenziamento. Con questo termine si indica l’atto con il quale il datore di lavoro cessa in modo unilaterale il rapporto di lavoro. Tale atto è normato dalle leggi n. 604 del 15 luglio 1996 e la legge n 108 dell’11 maggio 1990 dello Statuto dei Lavoratori.

Per giusta causa, invece, s’intende un atto disciplinato dall’art. 2119 c.c. che, in sunto, recita che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della sua scadenza, anche senza preavviso nel caso di contratto a tempo indeterminato, se si verifica una causa che ne impedisca il proseguimento, anche provvisoria. Nel caso di lavoratore a tempo indeterminato, il datore di lavoro dovrà riconoscergli l’indennità indicata nel secondo comma del precedente articolo. Il licenziamento per fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta ammnistrativa dell’azienda non sono annoverate nella giusta causa.

La giusta causa, infatti, prevede il venir meno dell’elemento fiduciario, come per esempio il danneggiamento dei beni aziendali o le minacce al datore di lavoro, falsa malattia o infortunio, scorretto utilizzo dei permessi per ex legge 104.

A questo punto bisogna rilevare una significativa differenza col giustificato motivo soggettivo che si manifesta quando il lavoratore ha una condotta disciplinare scorretta. Per esempio nel caso in cui violi gli obblighi contrattuali o leda un interesse che per il datore di lavoro è rilevante.

Ma in tempo di covid come ci si deve comportare? O meglio, cosa prevede la normativa, e fino a quanto? Facciamo chiarezza.

Divieto di licenziamento in tempo di covid

In linea generale, le misure introdotte dal Decreto Cura Italia, n. 18 del 17 marzo 2020, convertito in legge, n. 27, il 24 aprile 2020, stabiliscono la sospensione, in principio di 60 giorni, poi prorogata, dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e delle procedure collettive di riduzione personale e mobilità, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati.

Tale provvedimento era stato poi prorogato mediante decreto legge, il n. 34 del 19 maggio 2020, convertito in legge, la n. 77, il 17 luglio 2020, estendendone la possibilità di applicazione fino al 17 agosto.

Già il 18 agosto 2020 con il decreto legge n. 146, convertito in legge il 13 ottobre 2020, n. 126, venivano confermate le medesime preclusioni, ma questa volta vi erano soggetti solamente i datori di lavoro che non avevano fruito integralmente di integrazioni salariali riconducibili all’emergenza dovuta alla pandemia, come da art. 1, ovvero dell’esonero del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3 del succitato decreto.

Ma in seguito al Decreto Ristori del 28 ottobre 2020n. 137, che conferma il divieto di licenziamento fino al 31 gennaio 2021, prorogato al 31 marzo, quali sono le condizioni che impediscono al datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti?

Secondo la normativa attuale non si può licenziare per ragioni organizzative, tecniche o produttive, che l’impresa sia media, grande o piccola, a prescindere che tali ragioni siano ascrivibili all’emergenza covid.

Licenziamento per motivi economici

Secondo il Decreto Cura Italia, art. 46, è vietato licenziare per giustificato motivo oggettivo, collettivo e individuale, a prescindere dal numero di dipendenti dell’azienda. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato da ragioni dovute all’organizzazione del lavoro e del suo regolare funzionamento, cioè, il licenziamento è dovuto a motivi economici.

Altresì, è fatto divieto di licenziamento per motivi assistenziali, ovvero, non si può procedere al licenziamento del dipendente che si assenti per ragioni assistenziali, a patto che però venga comunicata preventivamente la necessità di assistere, per esempio, una persona con disabilità a seguito della sospensione delle attività nei Centri semiresidenziali.

Stesso discorso viene fatto nel caso in cui due genitori dipendenti del settore privato debbano assistere figli minori di età compresa tra 12 e 16 anni, con astensione durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole.

Licenziamento collettivo

Per quanto riguarda il licenziamento collettivo, lo si definisce tale se il datore di lavoro procede al licenziamento di almeno 5 dipendenti in un arco temporale di 120 giorni e all’interno della medesima provincia. Anche in questo caso, al momento, non è possibile licenziare per i suddetti motivi.

Eccezioni al divieto di licenziamento

Secondo l’art. 12 del Decreto Ristori, vi sono delle limitate circostanze in cui il divieto di licenziamento viene a cadere:

  • licenziamento disciplinare, ovvero, licenziamento per giusta causa, anche senza preavviso, nel caso in cui si sia verificata una circostanza o un evento che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro, o anche per giustificato motivo soggettivo, ma con preavviso.
  • licenziamento per la fruizione del pensionamento con quota 100 e licenziamenti per raggiungimento dell’età massima per accedere alla pensione di vecchiaia;
  • licenziamento per superamento del periodo di comporto, ovviamente esclusa malattia per covid;
  • licenziamento dei dirigenti, incluso per motivo oggettivo, dei lavoratori domestici;
  • licenziamento per mancato superamento del periodo di prova e per inidoneità alla mansione che resta al di fuori dal divieto, pur essendo per motivo oggettivo, ma che non dipende da ragioni economiche.

Tra gli esclusi da questa speciale tutela di divieto di licenziamento, vi sono anche la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo, dato che non si tratterebbe di un vero e proprio licenziamento, così come la risoluzione del rapporto di lavoro di quei dipendenti assunti con contratto a termine in scadenza durante il periodo in cui è efficace il divieto.

Consigli conclusivi

Le aziende, in questa particolare circostanza, sono state di fatto invitate a rinviare le operazioni di riorganizzazione dell’attività mediante licenziamento o di trovare una soluzione consensuale anche mediante le organizzazioni sindacali. In ogni caso è consigliabile rivolgersi a un avvocato del lavoro a Roma, per esempio, al fine di vedere tutelati i propri interessi anche in questa difficile circostanza che stiamo vivendo.